FilmUP.com > Forum > Tutto Cinema - Bastardi senza gloria - Inglorious Basterds
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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > Bastardi senza gloria - Inglorious Basterds   
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Autore Bastardi senza gloria - Inglorious Basterds
Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 27-10-2009 12:44  
quote:
In data 2009-10-25 18:58, Logan71 scrive:
quote:
In data 2009-10-07 11:01, Logan71 scrive:
Che bello vedere i Nazisti morire
Che bello vedere i Nazisti morire
Che bello vedere i Nazisti morire
Che bello vedere i Nazisti morire
Che bello vedere i Nazisti morire
Che bello vedere i Nazisti morire
(Ad Libitum)




CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE
CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE
CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE
CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE
CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE
CHE BELLO VEDERE I NAZISTI MORIRE

(AD LIBITUM)




certo che ti accontenti di poco
_________________
For relaxing times make it Suntory time

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Neuromante

Reg.: 30 Gen 2008
Messaggi: 188
Da: Hyperion (es)
Inviato: 28-10-2009 15:42  
quote:
In data 2009-10-18 10:50, Quilty scrive:

E' una delle parti peggiori di tutto il film. Il "colpo di scena" è in realtà una trovata per nulla cinematografica, come invece lo era il movimento di macchina nel primo capitolo del film, laddove scivolando la cinepresa lungo il corpo del contadino interrogato dall'ufficiale nazista, andava a rivelare allo spettatore il nascondiglio degli ebrei sotto terra e creava appunto suspence.




Già, ma noi sapevamo già tutto. Non c'era mica bisogno di quel movimento di macchina. anzi, per me è stata l'unica nota stonata di Un primo capitolo superlativo.
Per il resto concordo con la critica da molti rivolta : è un film slegato. Magnifico nei particolari, ma qualitativamente a "macchia di leopardo". Non concordo invece sulla bidimensionalità dei personaggi ( anzi, per alcuni aspetti molto ben definiti rispetto ai clichè Tarantiniani ) e sulle critiche alla sequenza della taverna ( yeah!)
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Beatrix

Reg.: 04 Nov 2002
Messaggi: 284
Da: Spinea (VE)
Inviato: 28-10-2009 18:09  
Eccomi, dopo secoli e secoli di latitanza! E ricomincio da un grande film...ma secondo voi, la frase finale "è il mio capolavoro" Tarantino parla del suo film attraverso Brad Pitt?
Secondo me si, e ha ragione!

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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 28-10-2009 20:56  
Secondo me anche, e non ha ragione, proprio in virtù del fatto che lo scopo era quello.
_________________
Inland Empire non l'ho visto e non mi piace

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HaroldKid

Reg.: 11 Gen 2009
Messaggi: 4589
Da: milano (MI)
Inviato: 28-10-2009 21:00  
Sarebbe decisamente un bel tocco di classe...
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vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 30-10-2009 22:06  

SPOILER

Il racconto è vita. Inglourious Basterds di tutti i film di Tarantino è quello che meglio celebra ed esercita la sua conclamata abilità affabulatoria, quello in cui emerge al meglio il suo ruolo di regista narratore. Il primo compito di Tarantino, in un film cannibalizzato da lunghissime scene di narrazione/finzione/simulazione (che qualcuno ha scambiato per dialoghi), sembra quello di gestire i narratori diegeticamente presenti nel film. Shoshanna, Landa, Hicox, sono tutte figure di Tarantino stesso.
Ma andiamo con ordine. In quanto sceneggiatore tessitore di tutte le trame, Tarantino sembra qui ordire una gigantesca e sperimentale fantasia metanarrativa prima ancora che metacinematografica. Il racconto procede per parentesi, deviazioni, ellissi, pause, fatica a inquadrarsi in una armonica consequenzialità. Un’euforia che spinge la trama a sbattere contro evidenti sgrammaticature narrative: personaggi persi per strada, storie parallele che si sovrappongono senza incrociarsi mai, situazioni e sviluppi suggeriti e non realizzati (più tecnicamente: alla fase della semina non sempre corrisponde una raccolta nella seconda parte). La logica vigente è quella di una scientifica disattesa delle aspettative (un gusto tarantiniano qui spinto all’eccesso), che raggiunge il culmine nel sovvertimento finale della Storia: niente è già scritto.
Più che una razionale struttura in tre atti, sembra prevalere una logica di scatole cinesi, di racconto dentro un racconto, una sensibilità mediterranea, sensuale, mediorientale.
Le mille e una notte, dunque, come archetipo dell’arte del raccontare che salva la vita legandola indissolubilmente alla morte. Sherazade era già stata omaggiata da Tarantino ne Le Iene: qui il personaggio di Tim Roth doveva raccontare un aneddoto tanto credibile da rinforzare la sua copertura presso un gruppo di spietati criminali. La tecnica è quella del dettaglio inutile, apparentemente casuale, tipico della vita vera: ci prova anche il povero infiltrato inglese nella scena della taverna di IB. Qualcosa di simile anche in Pulp Fiction (altro luogo di narrazioni ridondanti, dalla storia dell’orologio a quella del tizio scagliato dalla finestra), nella situazione di Connie, dove solo la giusta simulazione può salvare il matrimonio del personaggio interpretato dal regista stesso.
IB non è il primo film di guerra di Tarantino, ma piuttosto il primo film di guerra verbale tout court. L’enfasi che nel genere bellico viene assegnata solitamente alle armi e alla strategia, qui si scarica sul linguaggio, le inflessioni, gli accenti. La richiesta di Landa di passare all’inglese nella prima sequenza non è casuale e innocua, è la scelta di un’arma mortale. L’incursione dei bastardi col loro poco e niente italiano nella sala presidiata dal poliglotta Landa è l’equivalente di un disperato assalto alla baionetta di un fortino difeso dagli obici.
Se il racconto è vita e morte, lo è tanto più il cinema. In Ib il cinema prende il sopravvento sulla Storia, il film è una fantasia gioiosa e disperata in cui la sopravvissuta ebrea non si rifugia in un paese libero ma in un cinema di Parigi che proietta Pabst e Cluzot, dove l’esercito britannico affida le sue missioni a un critico cinematografico che deve contattare un’attrice tedesca che fa il doppio gioco, dove Hitler in pieno conflitto decide che la cosa più importante da fare è presenziare a una première. Una narrazione infarcita di riferimenti cinematografici d’epoca e che galleggia sulla nostra conoscenza della seconda guerra mondiale; in nessun film di Tarantino il sottotesto/immaginario lavora in modo tanto efficace, contribuendo a creare un realtà alternativa, autonoma, familiare e straniante al tempo stesso.
Lo showdown finale nella sala gremita di nazisti è quasi ovvio nel realizzare questo cortocircuito fra le due narrazioni maggiori, la Storia e il Cinema, dove quest’ultimo diventa teatro e vettore della vita, della morte, dell’amore, della vendetta. Più che ovvio, classico. Anzi sublime, come la faccia gigante di Shoshanna che ormai dall’aldilà (il cinema è morte) si vendica, sublime come l’idea di mostrare l’uccisione di Hitler e del suo stato maggiore.
Questa sovversione della storia è l’assoluto del film: è il massimo di spiazzamento delle attese, il massimo di capacità di mentire del regista (e quindi la prova più alta del suo potere affabulatorio), il massimo di rivincita del cinema sulla realtà e sulla storia. E’ qualcosa che oscilla fra lo sberleffo irresponsabile e una sorta di sgangherata, rutilante utopia cinematografica. E’ il punto di arrivo di un autore che nella sua sceneggiatura di Una vita al massimo aveva fatto esporre a don Vincenzo la teoria per cui esistono ben 17 diversi trucchi per mentire, anche se le donne arrivano fino a 20 (un teoria siciliana: ancora il mediterraneo di Ulisse. Ma non sarà sincero Tarantino quando dice di non sentirsi americano?). Il cinema invece mente 24 volte al secondo. Tarantino forse può arrivare fino a 30.


_________________
La realtà è necessaria a rendere i sogni più sopportabili

[ Questo messaggio è stato modificato da: vietcong il 30-10-2009 alle 22:06 ]

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Skizotrois

Reg.: 12 Nov 2007
Messaggi: 275
Da: Aosta (AO)
Inviato: 30-10-2009 22:29  
quote:
In data 2009-10-30 22:06, vietcong scrive:

SPOILER

Il racconto è vita. Inglourious Basterds di tutti i film di Tarantino è quello che meglio celebra ed esercita la sua conclamata abilità affabulatoria, quello in cui emerge al meglio il suo ruolo di regista narratore. Il primo compito di Tarantino, in un film cannibalizzato da lunghissime scene di narrazione/finzione/simulazione (che qualcuno ha scambiato per dialoghi), sembra quello di gestire i narratori diegeticamente presenti nel film. Shoshanna, Landa, Hicox, sono tutte figure di Tarantino stesso.
Ma andiamo con ordine. In quanto sceneggiatore tessitore di tutte le trame, Tarantino sembra qui ordire una gigantesca e sperimentale fantasia metanarrativa prima ancora che metacinematografica. Il racconto procede per parentesi, deviazioni, ellissi, pause, fatica a inquadrarsi in una armonica consequenzialità. Un’euforia che spinge la trama a sbattere contro evidenti sgrammaticature narrative: personaggi persi per strada, storie parallele che si sovrappongono senza incrociarsi mai, situazioni e sviluppi suggeriti e non realizzati (più tecnicamente: alla fase della semina non sempre corrisponde una raccolta nella seconda parte). La logica vigente è quella di una scientifica disattesa delle aspettative (un gusto tarantiniano qui spinto all’eccesso), che raggiunge il culmine nel sovvertimento finale della Storia: niente è già scritto.
Più che una razionale struttura in tre atti, sembra prevalere una logica di scatole cinesi, di racconto dentro un racconto, una sensibilità mediterranea, sensuale, mediorientale.
Le mille e una notte, dunque, come archetipo dell’arte del raccontare che salva la vita legandola indissolubilmente alla morte. Sherazade era già stata omaggiata da Tarantino ne Le Iene: qui il personaggio di Tim Roth doveva raccontare un aneddoto tanto credibile da rinforzare la sua copertura presso un gruppo di spietati criminali. La tecnica è quella del dettaglio inutile, apparentemente casuale, tipico della vita vera: ci prova anche il povero infiltrato inglese nella scena della taverna di IB. Qualcosa di simile anche in Pulp Fiction (altro luogo di narrazioni ridondanti, dalla storia dell’orologio a quella del tizio scagliato dalla finestra), nella situazione di Connie, dove solo la giusta simulazione può salvare il matrimonio del personaggio interpretato dal regista stesso.
IB non è il primo film di guerra di Tarantino, ma piuttosto il primo film di guerra verbale tout court. L’enfasi che nel genere bellico viene assegnata solitamente alle armi e alla strategia, qui si scarica sul linguaggio, le inflessioni, gli accenti. La richiesta di Landa di passare all’inglese nella prima sequenza non è casuale e innocua, è la scelta di un’arma mortale. L’incursione dei bastardi col loro poco e niente italiano nella sala presidiata dal poliglotta Landa è l’equivalente di un disperato assalto alla baionetta di un fortino difeso dagli obici.
Se il racconto è vita e morte, lo è tanto più il cinema. In Ib il cinema prende il sopravvento sulla Storia, il film è una fantasia gioiosa e disperata in cui la sopravvissuta ebrea non si rifugia in un paese libero ma in un cinema di Parigi che proietta Pabst e Cluzot, dove l’esercito britannico affida le sue missioni a un critico cinematografico che deve contattare un’attrice tedesca che fa il doppio gioco, dove Hitler in pieno conflitto decide che la cosa più importante da fare è presenziare a una première. Una narrazione infarcita di riferimenti cinematografici d’epoca e che galleggia sulla nostra conoscenza della seconda guerra mondiale; in nessun film di Tarantino il sottotesto/immaginario lavora in modo tanto efficace, contribuendo a creare un realtà alternativa, autonoma, familiare e straniante al tempo stesso.
Lo showdown finale nella sala gremita di nazisti è quasi ovvio nel realizzare questo cortocircuito fra le due narrazioni maggiori, la Storia e il Cinema, dove quest’ultimo diventa teatro e vettore della vita, della morte, dell’amore, della vendetta. Più che ovvio, classico. Anzi sublime, come la faccia gigante di Shoshanna che ormai dall’aldilà (il cinema è morte) si vendica, sublime come l’idea di mostrare l’uccisione di Hitler e del suo stato maggiore.
Questa sovversione della storia è l’assoluto del film: è il massimo di spiazzamento delle attese, il massimo di capacità di mentire del regista (e quindi la prova più alta del suo potere affabulatorio), il massimo di rivincita del cinema sulla realtà e sulla storia. E’ qualcosa che oscilla fra lo sberleffo irresponsabile e una sorta di sgangherata, rutilante utopia cinematografica. E’ il punto di arrivo di un autore che nella sua sceneggiatura di Una vita al massimo aveva fatto esporre a don Vincenzo la teoria per cui esistono ben 17 diversi trucchi per mentire, anche se le donne arrivano fino a 20 (un teoria siciliana: ancora il mediterraneo di Ulisse. Ma non sarà sincero Tarantino quando dice di non sentirsi americano?). Il cinema invece mente 24 volte al secondo. Tarantino forse può arrivare fino a 30.


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[ Questo messaggio è stato modificato da: vietcong il 30-10-2009 alle 22:06 ]



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"Saremmo voluti rimanere nella spensieratezza della nostra età, ma la vita ci fece crescere in fretta"

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Neuromante

Reg.: 30 Gen 2008
Messaggi: 188
Da: Hyperion (es)
Inviato: 31-10-2009 20:43  
quote:
In data 2009-10-30 22:06, vietcong scrive:

SPOILER

Il racconto è vita. Inglourious Basterds di tutti i film di Tarantino è quello che meglio celebra ed esercita la sua conclamata abilità affabulatoria, quello in cui emerge al meglio il suo ruolo di regista narratore. Il primo compito di Tarantino, in un film cannibalizzato da lunghissime scene di narrazione/finzione/simulazione (che qualcuno ha scambiato per dialoghi), sembra quello di gestire i narratori diegeticamente presenti nel film. Shoshanna, Landa, Hicox, sono tutte figure di Tarantino stesso.
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[ Questo messaggio è stato modificato da: vietcong il 30-10-2009 alle 22:06 ]



Ottima lettura. Complimenti.
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La mia casa ha 96 stanze su 104 mondi diversi

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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 31-10-2009 22:51  
Io, invece, l'ho trovata davvero troppo forzata come lettura. O meglio, comoda, sicuramente intelligente, ma tutto sommato infondata. Bel post comunque.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 01-11-2009 01:05  
ma perché viet come al solito indirizza il suo notevole acume principalmente verso la sceneggiatura, e la sceneggiatura di Inglorious basterds è strepitosa.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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flamestar

Reg.: 02 Feb 2005
Messaggi: 851
Da: prato (PO)
Inviato: 01-11-2009 22:02  
Bastardi senza gloria è GENIALE: il racconto capovolto di ciò che è stato mediante un puzzle di fortunate coincidenze...forse in certi punti la violenze è stata portata all'eccesso, ma questo dovrebbe essere uno degli aspetti caratterizzanti Tarantino, di cui francamente ancora non ho capito la ragione..
_________________
Ed è per questo che la nostra immaginazione è tanto importante per noi, perché non possiamo vivere solo dentro le nostre limitazioni, dobbiamo creare coscientemente delle ali e le ali migliori sono quelle che nessuno può tagliare. Azar Nafisi

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vietcong

Reg.: 13 Ott 2003
Messaggi: 4111
Da: roma (RM)
Inviato: 06-11-2009 15:00  
quote:
In data 2009-10-31 22:51, Marienbad scrive:
Io, invece, l'ho trovata davvero troppo forzata come lettura. O meglio, comoda, sicuramente intelligente, ma tutto sommato infondata. Bel post comunque.



ti diro' che mentre scrivevo avevo a tratti la sensazione della forzatura. Ma non di quelle che fai per mandare d'accordo un testo con un tua teoria, ma semplicemente dovute alla complessita'di certe intuizioni che non si riesce del tutto a verbalizzare, e quindi un po' si spostano, un po' si sposano con altre idee.

Poi pero' mi sono riletto e tutto sommato mi pare che quello che ho detto ci sta.
Credo che uno dei tratti distintivi di Tarantino sia proprio questa erotica del raccontare, che quasi sempre e' legata piu' o meno sottilmente alla morte (anche la scena di Una Vita al Massimo che ho citato termina con un omicidio). Inglourious Basterds e' l'apoteosi di questo aspetto della Tarantinita', punto e basta.

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oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 29-11-2009 18:39  
quote:
In data 2009-09-25 23:00, DeadSwan scrive:
Quasi quasi mi viene da sbilanciarmi: se non è il miglior film di Tarantino poco ci manca.
Detta la cosa di cui so già che mi pentirò, chiariamo che qui Tarantino ha raggiunto un suo equilibrio classico di scrittura, una maestria e uno stile che lasciano a bocca aperta. Questa pellicola è una continua gioia per gli occhi, un concatenarsi di immagini ed avvenimenti che colpiscono lo sguardo e l'immaginazione, un giocare con le attese dello spettatore, con la sua immedesimazione, con la suspence, con la struttura della vicenda. La storia che dovrebbe raccontare alla fine conta poco, e questo lo ci si poteva aspettare, ma contano relativamente anche le "tarantinate", la violenza (ce n'è meno di quella che il trailer lasciava sospettare), le assurdità esibite.
In realtà il film si diverte a disattendere le aspettative che il trailer, le opere precedenti di Tarantino, i luoghi comuni ormai solidificatisi possono aver creato. Ci si aspetta che i "Basterds" occupino tutta la vicenda ed invece sono solo un tassello di un film i cui assi principali sono una vendetta femminile e la caricatura del nazismo sotto forma di un SS da operetta (l'ottimo Christoph Waltz). Ci si aspetta che i Basterds si diano ad un'orgia di violenza coreografica ed invece da questo punto di vista sono quasi "deludenti". Ci viene fatto credere che questo manipolo di uomini spargerà il terrore tra i nazisti ed invece questa circostanza è appena allusa e quasi volta in burletta, mentre tutto il film costruisce una suspence molto più canonica (e "credibile", se si accetta la logica assurda della vicenda) in cui il pubblico si preoccupa non DI loro ma PER loro. Il fatto che il titolo del film sia tratto da uno sconosciuto film italiano di genere porta a pensare che ci sarà la solita carrettata di omaggi al cinema di serie B, ed invece gli omaggi (sia quelli palesi sia quelli incorporati nel corpo del film) sono presi in buona parte dal cinema classico anni '20, '30, '40, e tra i numi tutelari del film non mancano Hitchcock e Truffaut. Chi se l'aspettava di vedere locandine di "Le corbeau" o di "Un chapeau de paillie d'Italie" in un film di Tarantino? Chi se l'aspettava che l'immancabile discussione pop al bar fosse condotta sulla base di Greta Garbo, Pabst, Pola Negri, Leni Riefenstahl, Winnitou (per chi non sapesse chi è, come immagino chiunque fuori dalla Germania, è un personaggio creato da Karl May, il Salgari tedesco, che qui ha uno status di culto paragonabile a quello di Sandokan in Italia)? Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia, si potrebbe pensare; ma se si pensa che (come normalmente avviene con Tarantino) questi richiami espliciti sono riecheggati da scelte iconografiche e di gusto compositivo, allora il cambiamento dell'immaginario di riferimento ha un peso. Vi assicuro, Tarantino non è mai stato tanto "classicista" come qui. Barocco anche, in certe inquadrature, in certi movimenti di macchina, ma che hanno sempre il "sentore" di quella classicità. Le intrusioni quasi fumettistiche (scritte in sovraimpressioni ecc.) sono pochissime e, francamente, stonano. Le fluide carrellate all'interno di scene di gruppo, in spazi ristretti e quasi "teatrali", che fanno tanto Hollywood degli anni d'oro, invece si sprecano.
Altra cosa che non ci si aspettava è che un regista che ha sempre giocato col cinema, come Tarantino, ha prodotto il suo primo film esplicitamente metacinematografico. Nel senso più semplice e letterale del termine, il film ruota attorno ad un film e alla sua proiezione, ed è alla pellicola che verrà affidata la vendetta finale.
Già la prima sequenza mi ha fatto sbavare. Una orchestrazione della suspence che ha ben assimilato la lezione di Hitchcock. Al pubblico viene rivelato aò momento giusto ciò che il colonnello delle SS deve scoprire, quando una situazione quasi banale in cui ci si aspetta vagamente una minaccia ma non si ha la vaga idea da dove arriverà pare arrivata al suo culmine e sembra scogliersi in un nulla di fatto. Ma Tarantino ci mostra il retroscena proprio al punto più adatto e da quel momento si crea una situazione di tensione e suspence stupendamente tenuta. La suspence praticamente è quasi la presenza costante di tutto il film, sono poche le sequenze non costruite su questa dinamica. Ed è normalmente suspence costruita secondo la più canonica delle escalation, con la giusta dose di contrattempi e di complicazioni e la concentrazione finale di ogni "classico" film. Quello su cui Tarantino ci mette del suo è sfruttare la cervellotica complicazione della trama per incastrare tra di loro più suspence, per accumulare tensione su un personaggio per poi lasciarlo e cuocere un altro po' un altro pezzo di storia. Ma la tensione non cala (anzi, viene protratta) ed i fili confluiscono debitamente (e prevedibilmente) in una scena finale sopra le righe, uno sberleffo grottesco che è anche un omaggio all'immagine cinematografica in quanto tale, ed anche una realizzazione visivamente affascinante. Senza contare quel colonnello Hans Landa che è un po' il deus ex machina, quello che non ti aspetti ma anche quello che tiene insieme i fili della tensione (e come gioca al gatto col topo con tutti i personaggi...).
Avevo fatto cenno prima alla scena di "chiacchiere in libertà" in una taverna. Ebbene, questa sequenza non solo è funzionale alla storia, ma è anche carica di tensione. Tutto meno che un mero divertissement. Tarantino pressa e rallenta, e nel frattempo omaggia un'infinità di pellicole sulla seconda guerra mondiale (l'ombra di "Quella sporca dozzina", ad esempio, è molto presente) , e ne approfitta per tirare fuori un po' di nomi di grandi del cinema tedesco prebellico (ed in seguito mostrerà Emil Jannings in carne ed ossa), ma soprattutto tiene avvinto lo spettatore, e non solo con le chiacchiere.

Passando al folklore, il mio massimo punto di godimento nerd è stato quando un soldato ubriaco, nella scena sopraccitata, apostrofa l'attrice Hammersmack (interpretata da Diane Kruger) dicendo: "Non c'è (nome di attrice che mi è sfuggito), non c'è Leni Riefenstahl, c'è solo Brigitte von Hammersmack", che cita la famosa (ehm...) frase di Henri Langlois "Ma quale Dietrich! Ma quale Garbo! C'è solo Louise Brooks!".
Non male vedere anche un cinema che proiettava "Il corvo" di Clouzot, uno dei miei film preferiti.




Bravo dead... anche secondo me siamo ai massimi livelli. Questo ci sa fare è non dubbio... ti butto là due sequenze.
La prima è quella in cui il critico britannico viene assoldato per la missione: c'è uno studio delle linee di fuga prospettiche quasi da estasi con campi e controcampi che giocano divinamente sulle tre figure distribuite tra primo piano, secondo piano e sfondo: da orgasmo. La seconda è quella dei primi scalpi, quando il soldato tedesco rivela la posizione della pattuglia crucca: qui al contrario la macchina da presa si muove sul proprio asse con una serie di destra-sinistra-alto (mi sembra sia posizionata in basso la mdp) per descrivere la concitazione del dialogo a tre... fantastico, non ho parole.
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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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norman

Reg.: 30 Ago 2002
Messaggi: 122
Da: loro c (AR)
Inviato: 23-02-2010 19:06  
Mi è piaciuto questo film.
La scena della taverna con l'agente inglese in divisa nazista è davvero carica di suspense e intensa. Si tradisce con il numero 3...


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Whores don't get a second chance.....

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Moreschi


Reg.: 14 Gen 2006
Messaggi: 2038
Da: Milano (MI)
Inviato: 23-02-2010 19:19  
L' ho scaricato. In alcune parti non parlano italiano ed i sottotitoli sono inglesi. è normale? a me non lo sembra.
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“Tutti i miei film possono essere pensati in bianco e nero, eccetto Sussurri e grida ... ho sempre immaginato il rosso come l'interno dell'anima” (I. Bergman).

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